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8 Marzo: meglio un’attenzione in più ogni giorno che una mimosa una volta l’anno

Adriano Pasteris di Adriano Pasteris
8 Marzo 2021
in Blogger
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L’otto marzo del 1917, a San Pietroburgo, le donne scendono in strada per chiedere a gran voce la fine della guerra che le ha costrette a lavorare nelle fabbriche al posto dei loro mariti, senza, peraltro, poter delegare ad alcuno il difficilissimo ruolo di madri sole. Quattro anni dopo, nel 1921, durante la Seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste, tenutasi a Mosca, si stabilisce che, a ricordo di quell’evento, l’otto marzo diventi la Giornata Internazionale dell’Operaia. A dire il vero, si celebrava già una giornata dedicata alla donna, per la precisione dal 23 di febbraio del 1909, quando il partito socialista statunitense aveva decretato di dedicare l’ultima domenica di quel mese ad una riflessione sullo sfruttamento delle operaie, sulle discriminazioni sessuali e, soprattutto, sull’estensione del diritto di voto ad entrambi i generi. In Italia la decisione di dedicare alle donne la data dell’otto marzo è del 1945. Da lì in poi, un’infinita sequela di celebrazioni che, nel tempo, si sono modificate, determinando, in noi maschietti, percezioni diverse del perennemente sconosciuto, incomprensibile, universo femminile. Ricordo i cortei delle “streghe femministe” nei primi anni Settanta. A quell’epoca noi, odierni signori di abbondante mezza età, eravamo bambini convinti che il mondo fondasse sul conflitto maschi contro femmine, ovvero tra quelli che giocavano a calcio, o con i soldatini, e quelle che giocavano con le bambole o che avevano le bici con il cestino davanti, mentre noi pedalavamo su quelle “da cross”, facendo il verso della moto. Allora la festa della donna, che mia madre non prendeva neanche in considerazione, era la festa “dell’altra parte dell’universo”; gli slogan che, qualche anno dopo, le nostre compagne delle medie ripetevano, magari perché sentiti dalle sorelle più grandi, erano per noi autentiche dichiarazioni di guerra. Più intrigante, a dirla tutta, ci sembravano le mitiche narrazioni di qualche nostro amico più grande, a sentire i quali, durante i cortei, alcune ragazze erano solite togliersi il reggiseno: internet non c’era, mancava, dunque, la verifica tangibile e le nostre fantasie, con sogni annessi, erano destinate a restare tali (“La ragione non è nulla senza l’immaginazione”, diceva Cartesio…). Poi venne l’epoca in cui l’otto di marzo le donne erano autorizzate ad andare a vedere gli spogliarelli dei maschi. Lì eravamo già grandi e l’universo femminile, in un modo o nell’altro, avevamo già iniziato ad esplorarlo. Più o meno, una fidanzata che ci facesse un po’ da mamma l’avevamo trovata e l’otto di marzo andavamo tutti a comprare le mimose, magari anche i cioccolatini, speranzosi di riuscire ad ottenere in cambio qualche attimo di dolcezza. Naturalmente, per l’occasione, assecondavamo tutte le rivendicazioni di genere, ma nessuno avrebbe mai potuto convincerci che le femmine potessero giocare a calcio o fare il soldato. E poi, il fatto che l’otto marzo avesse assunto i toni di un baccanale un po’ ci sconcertava. L’idea che la nostra fidanzata andasse a vedere uomini che si denudavano non ci piaceva. Un po’ perché feriva il nostro orgoglio di maschi ed un po’ perché noi, ragazzi “perbene”, un giorno in cui ci fosse universalmente consentito di andare a vedere uno spogliarello non ce l’avevamo: era un’evidente ingiustizia. Oggi l’otto marzo è diventato giorno di conferenze, di riflessioni, di dibattiti sull’opportunità di usare o meno termini come “direttora” o “assessora” e via dicendo. Noi le mimose le compriamo ancora, forse anche i cioccolatini, ma, poiché l’universo femminile lo abbiamo esplorato a fondo, senza capirci granché, ci è finalmente molto chiaro che l’attenzione quotidiana è molto più gradita di una mimosa (e, per noi, è anche terribilmente più impegnativa…). Oggi ci è finalmente molto chiaro che, se vogliamo che le nostre figlie abbiano le stesse opportunità dei propri fratelli, dobbiamo insegnare loro a lottare, dobbiamo sostenerle incondizionatamente e, soprattutto, dobbiamo insegnare loro a non farsi ammaliare da un mondo insidioso che, prima ancora che persone, le vede femmine. Diceva Shakespeare: “Il mondo è un palcoscenico e gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori, ognuno con le proprie entrate e le proprie uscite, e una stessa persona, nella sua vita, è chiamato a rappresentare diversi ruoli”. Il giorno che noi maschi impareremo ad interpretare tutte le parti delle nostre madri, delle nostre mogli, delle nostre figlie, senza remore, e ne faremo tesoro, comprendendo fino in fondo le loro difficoltà, allora potremo anche smettere di comprare la mimosa. Forse, addirittura, anche i cioccolatini.
Tags: 8 marzofesta della donnamimosa

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