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“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)

Il progetto pluripremiato del fotografo torinese Valter Darbe e il libro con i testi della giornalista Tiziana Montaldo, accompagnata dalle parole dell’attivista indiana Mohini Giri, candidata al Premio Nobel per la Pace

Lara Ballurio di Lara Ballurio
4 Marzo 2022
in Attualità
8 min di lettura
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“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
darbe
“I Was my husband”, un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India (VIDEO)
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“I Was my husband” (io ero mio marito e ora non sono più nulla), il progetto pluripremiato del fotografo torinese Valter Darbe e il libro con i testi della giornalista Tiziana Montaldo, accompagnata dalle parole dell’attivista indiana Mohini Giri, candidata al Premio Nobel per la Pace. Un accurato e suggestivo reportage sulla condizione delle donne vedove in India. 

Immagini in bianco e nero – pluripremiate a livello internazionale – scatti suggestivi che mettono in luce una verità nascosta, fatta di storie, di identità perdute e sottratte. Immagini in cui sono i particolari a far la differenza, a dirci molto sulla situazione di quelle donne, ancora oggi, in India. Stampe uniche e rare, realizzate con delle tecniche che non permettono una semplice riproduzione. 

“I was my husband” si fa portatore di una parte di verità inerente il rapporto tra i sessi nella complessità sociale indiana. Di fatto, in India, anche se dal punto di vista legislativo vige la parità tra uomini e donne, la realtà quotidiana è ben diversa da quanto scritto sulla carta. A causa di una interpretazione errata delle scritture sacre e dell’ortodossia, in alcune aree del subcontinente permane il retaggio del “codice di Manu” per cui una donna appartiene ad un uomo durante tutta la vita: prima al padre, poi al marito.

Il fotoreportage “I was my husband” è l’estrema e vivida sintesi di tutto questo. A raccontarcelo sono il fotografo Valter Darbe e la giornalista Tiziana Montaldo, autori del progetto. Un’opera d’arte studiata nel minimo dettaglio. Un prodotto di alta qualità. Per la stampa delle immagini, Valter e Tiziana si sono avvalsi di specialisti che operano nel settore dei libri fotografici, delle fotografie per mostre e dei libri d’arte, come lo stampatore Riccardo Melzi. Alcune, invece, sono state stampate direttamente da Valter Darbe, con una tecnica che ha reso l’opera unica ed irripetibile. La garanzia della qualità e la certificazione dell’unicità.

Ecco com’è maturata l’idea di questo fantastico progetto. Una storia che parte da lontano, fatta di studio, indagine, ricerca e la volontà di Valter e Tiziana di portare alla luce alcune verità ‘nascoste’ a noi occidentali.  

“E’ stato un progetto che è nato quasi per caso, parlando dell’India, un paese che entrambi avevamo visitato per ragioni e in tempi diversi – racconta Valter Darbe e prosegue – Spiegai a Tiziana che mi avrebbe fatto piacere visitare ‘la città delle donne’. Questo suscitò molto il suo interesse e lei, da buona giornalista, cominciò subito ad indagare, studiare. Ci recammo più volte sul posto e alla fine decidemmo di realizzare proprio un reportage sul tema delle donne vedove che sono stanziate nella ‘città delle donne’”, conclude Valter.

L’india non è un paese semplice. Come avete organizzato il lavoro? Avete riscontrato molte difficoltà?

“Per entrare in questi centri (sia le strutture pubbliche, sia in quelle private) – spiega Tiziana Montaldo – servono dei permessi speciali. Per questo, prima di partire, ho cercato una persona, Rita Vasu, che è stata per molti anni la guida del giornalista Tiziano Terzani in India e che, sostanzialmente, ci ha fatto da intermediaria. Grazie a lei – prosegue Tiziana – siamo riusciti a recuperare i permessi d’accesso alle strutture per poter scattare le fotografie e, nello stesso tempo, ci ha fatto anche da interprete; le donne lì parlano esclusivamente hindi…” 

Valter, qual è stato il momento più suggestivo, l’immagine che ti ha fatto dire “questa è la storia che voglio raccontare”? 

“E’ stato come un guizzo. Sono molto orgoglioso dell’immagine che ho prodotto – sottolinea Valter Darbe – Si è trattato di un unico scatto, emblematico, che rappresenta alla perfezione la condizione delle vedove indiane. Un’immagine quasi sfocata – descrive Valter – una donna vedova in sari bianco, spogliata di tutti i suoi averi, così da non poter più attrarre l’attenzione di uomini. Accanto a lei, un’altra donna che è ancora all’interno di un nucleo familiare, perché porta ancora vestiti colorati. Tra di loro, l’unico a fuoco, è un bambino, con lo sguardo sfidante, che rappresenta molto la cultura ancora misogina che vi è in India”. Valter Darbe prosegue raccontando di un altro scatto, che sente particolarmente vicino e cita una didascalia “ciò che vedi è ciò che mi rimane”, “questo è lo scatto in cui viene rappresentato ciò che resta a questa donna – racconta Valter – il sari di cui è vestita, uno di ricambio, una ciotola in cui mangia e alcuni contenitori ricavati da bottiglie di detersivi in cui raccoglie l’acqua per bere. Ma vi è ancora un altro scatto a catturare l’attenzione, il più drammatico – commenta Valter – “è quello di una donna che, come a volte succede ancora qui in occidente, in Italia, riporta i segni che sono le lesioni di qualcuno che l’ha picchiata e lei sosteneva ovviamente di essere caduta dal letto…”

Tiziana, cosa vuol dire essere una vedova in india? 

“Essere una vedova in India vuol dire essere spogliata di tutti i tuoi averi, essere rapata a zero, perché i capelli rappresentano il desiderio, non poterti vestire colorate ma solo di bianco (che per la cultura indiana è il colore della nullità). Le vedove perdono i loro figli, affidati alle famiglie dei loro defunti mariti. Vengono estromesse da qualsiasi forma di socializzazione, perché sono considerate portatrici di sfortuna. Questo perché – spiega Tiziana Montaldo – per un’interpretazione della legge induista dei testi sacri, a loro viene data la colpa di essere la causa della morte del marito: è il carma negativo della donna che fa si che l’uomo muoia. All’epoca della colonizzazione inglese, le donne venivano addirittura bruciate vive con il marito. Oggi non vi è più questo fenomeno – sottolinea  Tiziana – però viene comunque data loro una morta sociale, una condizione di estrema discriminazione anche se con l’evoluzione della società vi sono cose che stanno cambiando e, soprattutto, soprattutto grazie al lavoro di alcuni centri che abbiamo visitato vi sono anche delle donne (soprattutto le più giovani) per cui le associazioni stanno cercando di cambiare questa condizione, insegnando loro un lavoro e sviluppando un percorso di futura autonomia”

Valter, quali sono i soggetti degli scatti che hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, premi internazionali (New York, Parigi, Malta Budapest, Tokyo)?

“Sono essenzialmente quelli delle donne indiane accolte in questi centri. Abbiamo cercato di raccontare attraverso questi scatti non solo le loro condizioni ma, soprattutto, le loro storie, l’aspetto culturale e sociale che deriva dalla cattiva interpretazione dei testi sacri induisti” specifica Valer Darbe.

Quando hai incominciato ad esporre i tuoi lavori? 

”All’inizio degli anni ’90 – racconta Valter Darbe – Avevo sviluppato un progetto sugli archetipi iconografici delle emozioni, facendo un’indagine che cercava di comprendere se nel nostro immaginario collettivo vi fossero delle immagini “simboliche” capaci di evocare emozioni comuni a livello collettivo. E’ un lavoro che ho sviluppato nel corso di alcuni anni con un successo a livello nazionale (con il Torino Fotofestival in primis) e internazionale (Londra, Losanna). Successivamente – continua a spiegare Valter – mi sono rivolto all’ambito più sociale, con dei lavoro di fotografia documentaria essenzialmente in India, che sono serviti a finanziare poi dei progetti di cooperazione e accoglienza nel Nord dell’India e per alcuni hospice qui in italia, attraverso la vendita delle opere. Una delle caratteristiche del mio lavoro – sottolinea Darbe – è che comunque le stampe sono sempre uniche, realizzate con delle tecniche che non permettono una semplice riproduzione, per cui chi le acquista sa che compra un pezzo unico. Più recentemente, grazie a viaggi e progetti con varie associazioni, ho fatto dei reportage al Nord dell’Afghanistan. Alcuni di questi sono stati esposti o presentati, come al Museo Archeologico di Aosta, dove ho vinto anche premi internazionali e poi, ovviamente, il lavoro “I was my husband” con il quale ho vinto diversi premi internazionali” conclude Valter Darbe.

Vista la moltitudine di immagini che il web crea, oggi, nell’era digitale e di internet, l’immagine fotografica riesce ancora a documentare la realtà o la sua rappresentazione rischia di dissolversi e mescolarsi con l’irreale? 

“Dal mio punto di vista – commenta Valter Darbe – la fotografia non documenta la realtà; è verosimile, nella migliore delle ipotesi. Credo che in questo periodo, in cui la comunicazione è fatta sulla base di un analfabetismo disfunzionale, la fotografia costituisca il veicolo con cui le persone comunicano più facilmente e rapidamente. Questa è la ragione per cui il numero di immagini che vengono condivise quotidianamente cresce in modo esponenziale. Per questo è un linguaggio su cui dovremmo essere maggiormente formati ed educati – puntualizza Valter – esattamente come per la sintassi tradizionale. Stiamo perdendo l’educazione all’impiego delle immagini – commenta il fotografo – Le immagini oggi vengono molto consumate, meno lette… Nel medioevo – fa notare Valter Darbe – i quadri che conosciamo attraverso lo studio della storia dell’arte, costituivano per le popolazioni una narrazione facilmente intellegibile. Oggi siamo molto meno abituati a collegare l’immagine una all’atra e le usiamo in maniera molto più emozionale, primitiva. Il fatto che possano essere reiterate in maniera massiccia, a volte può significare che hanno avuto la capacità di colpire la curiosità e le emozioni di chi le ha viste” conclude Darbe.

Avete già in mente il prossimo libro fotografico? 

“Da questo progetto, soprattutto dalla relazione di chi ha potuto vedere le mostre e dall’interesse che ha suscitato questo libro, è nato un progetto a medio termine, legato alla condizione femminile nelle culture in cui è maggiormente presente un’ortodossia religiosa. Questo progetto è stato momentaneamente congelato a causa del Coronavirus ma noi stiamo in qualche maniera lavorando per costruire un percorso che vorrebbe raccogliere le testimonianze nelle diverse culture e società e portarlo nuovamente in forma fotografica e narrativa”, riportano i due autori, Valter Darbe e Tiziana Montaldo.

Chi è Valter Darbe

VALTER DARBE Nato nel 1962, diploma in fotografia e laurea in “Scienze, tecnologia e comunicazione nella stampa”. Inizia la sua attività artistica fotografica nel 1991 con una ricerca sugli archetipi delle emozioni, presentata a livello nazionale e internazionale attraverso mostre personali e collettive fra cui Biennale Torino Fotografia; Galleria Labyrinthe a Losanna; Festival International de la Photographie “Images ‘95” a Vevey (CH) con l’esposizione “Les portrait de l’incoscience” all’interno della retrospettiva dedicata a Janloup Sieff. Alcune delle immagini sono state selezionate per l’illustrazione del libro “Per una nuova interpretazione dei sogni” edito da Moretti e Vitali nel 2007. Dal 2005 ha svolto alcuni progetti fotografici con delle ONG, attualmente membro del direttivo dell’Associazione internazionale Six Degrees di reporter di guerra e sociali. I suoi più recenti lavori si concentrano sulla condizione delle donne in diversi ambiti culturali e sull’impatto sociale delle nuove “Vie della Seta”. Per entrambi ha ricevuto riconoscimenti e premi: 2018 Malta International Photo Award – Top 25 Storytelling 2018 Selezionato nel concorso del National Geographic Italia 2019 Medaglia di Bronzo al Prix de la Photographie Paris – per lo Storytelling “I Was my Husband” 2019 Medaglia di Bronzo al Prix de la Photographie Paris – sezione People “Afghan interior” 2019 Menzione d’Onore al Prix de la Photographie Paris – per il libro “I Was my Husband” verificare 2019 IPA International Photo Award – Menzione d’Onore nella sezione Deeper Perspective con lo storytelling “I Was my Husband” 2019 IPA International Photo Award – Honorable Mention sezione People opera “Afghan Interior” 2019 IPA International Photo Award – Honorable Mention sezione People-Life style opera “Afghan House” 2019 IPA International Photo Award – Honorable Mention sezione Tradition-Culture opera “Afghan Family” 2019 IPA International Photo Award – Honorable Mention sezione People-Family opera “Afghan Family” 2019 IPA International Photo Award – Honorable Mention sezione Travel-Wanderlust opera “Afghan Hous.

Tags: DonneI Was my husbandindiaTiziana MontaldotorinoValter Darbe

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