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Architetture dalla terra di mezzo.

Pagare il prezzo di una Ferrari per avere una Uno bianca in cambio

Giulio Pascali di Giulio Pascali
7 Febbraio 2021
in Blogger
4 min di lettura
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Architetture dalla terra di mezzo.
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La forma di una città dipende da tante cose.

È variegata e spesso decisamente sfumata e impalpabile.

Le Città Invisibili di Calvino è il racconto di un viaggio attraverso una serie di città che Marco Polo descrive al Kublai Khan.

Al termine del racconto (SPOILER) Marco Polo confessa che le decine di descrizioni di città diametralmente opposte altro non sono che singoli elementi di una stessa città: Venezia.

Si può descrivere una città a partire dalle sue strade, oppure dai tubi che le attraversano; si può parlare dei confini, dei suoi parchi, dei suoi fiumi; si può parlare della sua storia, delle cose che c’erano e che oggi non ci sono più, delle cose che verranno, dei festival e delle persone che vi abitano. Ogni elemento a suo modo contribuisce a rendere un pezzo del racconto di una città.

La cosa più semplice e diretta rimane tuttavia osservare le case, i singoli edifici. In fondo cosa c’è di più caratterizzante in una città delle singole opere?

E non parlo delle grandi emergenze, ma dei singoli edifici, le opere ordinarie, le residenze, quelle che si trovano spesso al confine tra edilizia e architettura. Cosa c’è più caratterizzante di una città se non la sua edilizia diffusa?

Sono le opere diffuse, quelle che osserviamo uno dopo l’altra camminando distrattamente per la città che ne configurano l’immagine.

Le grandi opere, i monumenti, sono i simboli a cui ci attacchiamo, i meme che ci fanno riconoscere una città, ma il vero carattere di una città lo vediamo dall’architettura diffusa.

Le imprese edili in questo hanno le responsabilità maggiori.

Anche gli architetti hanno le loro responsabilità; i geometri molte di più, le statistiche ci dicono che l’80 % del patrimonio costruito in Italia è stato progettato da geometri……

Siamo abituati ad indignarci di fronte alle opere sensazionali. Quando in una città avvengono grandi operazioni che stravolgono interi quartieri, oppure marcano un segno forte sulla città, allora spesso si scatenano le polemiche. Si invoca il contesto, si grida allo scandalo per le speculazioni in corso, ci si incatena e si minacciano ricorsi.

Non ci si indigna mai per l’ordinario.

Se ci riflettiamo bene non sono le grandi opere a incidere veramente sulla bellezza di una città; esse, per quanto eclatanti, finiscono sempre per interessare una parte minimale. Ancora più spesso ci si dimentica, o si finge di dimenticare quello che queste opere vanno a sostituire (magari una vecchia fabbrica oppure un’area degradata). Questo però è un discorso a parte. Quello che voglio mettere in evidenza in questo articolo è che spesso ci si concentra sulle emergenze ma ci si dimentica di alzare lo sguardo sulla diffusa e inarrestabile banalità delle città in cui viviamo.

Schiere di villette e palazzi anonimi che devono il loro successo proprio alla loro dichiarata ordinarietà. Opere fatte senza coraggio che ripetono modelli stantii, obbedienti alla regola che richiede di non inventarsi mai niente, non un guizzo, non un’idea. L’ordinario rassicura, ed evidentemente si vende.

Eppure le case, i luoghi dove abitiamo, sono il nostro vestito più importante. Quello dove spendiamo di più e che poi ci rimarrà cucito addosso, se non per sempre, per molti anni.

Per comprare o costruire una casa si spendono centinaia di migliaia di euro, si fanno mutui trentennali. Si tratta dell’investimento economico di gran lunga più importante che una famiglia possa fare nel corso della sua vita. Eppure, a guardare le nostre città, si direbbe anche che la casa sia l’oggetto di gran lunga meno ricercato dal punto di vista dell’estetica. Ci accontentiamo. È casa nostra, dovrebbe essere ciò che più ci distingue dal resto del mondo, eppure siamo portati ad accettare una idea delle nostre case il più ordinaria possibile.

È un paradosso. Le nostre case costano come una Ferrari, ma le vogliamo allestire come un Uno bianca.

Ci sono architetti che operano in questa terra di mezzo, che vivono e lavorano a contatto con le imprese e con il mercato che ne determina le scelte. In questo scenario spingere per ricercare quel guizzo è uno dei mestieri più difficili al mondo.

Le imprese, soprattutto quelle più brave, hanno i loro schemi costruttivi; farglieli abbandonare per forme o geometrie meno ordinarie è spesso uno scontro con i mulini a vento.

Studio Dimensioni è uno degli studi che operano in questo mondo. Quasi sconosciuti a Settimo, eppure hanno qui la loro sede; sufficientemente bravi da meritare per esempio un riconoscimento per il progetto della loro sede da parte dell’Ordine degli Architetti di Torino. Sufficientemente pragmatici da saper lavorare con successo a fianco delle imprese.

Eppure costruiscono molto proprio a Settimo. Via Cavour è praticamente il loro terreno di caccia, ma se si scorre l’elenco delle loro realizzazioni si riconoscono moti luoghi di Settimo.

Si capisce quanto il loro lavoro sia spesso difficile e frutto di compromessi proprio osservando la diversità degli interventi. A volte con il “freno a mano tirato”, dove evidentemente l’impresa (ma direi anche il mercato) hanno avuto il sopravvento; altre volte dove sono riusciti a fare emergere un pizzico di architettura anche solo con un segno, un guizzo circoscritto; altre invece dove è stata lasciata maggiore libertà di espressione all’architetto.

Osservando i lavori dello studio si capisce anche come sia importante stabilire un dialogo di fiducia con le imprese. Da una parte gli architetti devono godere della massima fiducia per potersi permettere di proporre qualcosa di diverso. Dall’altra occorre che entrambe la parti in gioco abbiano la voglia e l’aspirazione a sperimentare, rischiare, uscire dall’ordinario.

Sullo sfondo ci siamo noi, utenti finali; quelli che comprano e che cercano casa; magari se cominciassimo a chiedere di avere Ferrari invece che Uno bianche, anche la qualità delle nostre città comincerebbe a migliorare.

Ho intervistato l’architetto Massimo Martinelli e ne è venuto fuori un video che potete vedere qui di seguito.

Buona visione.

 

 

Tags: architettura residenzialemarco polopremio architetture rivelateStuidio Dimensioni

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