Venerdì 15 ottobre, mentre scattava l’obbligo di green pass per tutti i lavoratori decretato dal governo e mentre in tv, sui giornali e sui social si scatenava il «daje al non vaccinato» (troglodita, mentecatto, untore, fascista, da internare, ecc.), l’Istituto Superiore di Sanità pubblicava il consueto report sulla situazione della pandemia in Italia. Fra i vari dati c’è quello sui nuovi casi di Covid rilevati nel nostro Paese tra il 20 agosto e il 10 ottobre: un mese e venti giorni, un periodo abbastanza ampio per capire chi sono – nove mesi dopo l’inizio della campagna vaccinale, e successivamente all’introduzione del green pass – i contagiati nel nostro Paese. Ebbene: nella fascia tra i 60 e i 79 anni, il 64% dei contagiati ha fatto il vaccino (61% due dosi, 3% una), e in quella dagli 80 anni in su la percentuale si alza ancora: ben il 78% dei contagiati ha fatto il vaccino (76% due dosi, 2% una); in questa fascia, poi, sia tra i ricoverati – nei reparti ordinari e in terapia intensiva – che tra i deceduti il numero dei vaccinati supera quello dei non vaccinati. Nella fascia 40-59 anni i casi pressoché si equivalgono: circa la metà dei nuovi “positivi” sono vaccinati, metà no.
E’ l’effetto paradosso, certo: più si vaccina, più la percentuale dei “positivi” tra i vaccinati aumenta. Ma in pratica, se si vuole valutarne la ricaduta nella vita quotidiana, questi dati ci dicono che ci sono molte persone che, avendo il green pass in tasca e sentendosi “immunizzate” (anche grazie alla martellante propaganda), hanno ricominciato ad uscire, ad andare al ristorante, al cinema o a teatro, ad incontrare altra gente, magari senza fare sufficiente attenzione al distanziamento o senza indossare le mascherine, e sono state contagiate dal virus.
Già dal dato ufficiale si evince che questi portatori – contemporaneamente – di green pass e di virus sono molti di più rispetto ai «maledetti» non vaccinati, ma probabilmente il loro numero è sottostimato. Infatti mentre i non vaccinati, per poter svolgere una qualsiasi attività (compresa, da qualche giorno, quella lavorativa), devono fare tamponi ogni 48 ore e quindi la loro eventuale “positività” viene immediatamente rilevata e inserita nelle statistiche (e loro vengono posti in isolamento), per la quasi totalità dei possessori di green pass il contagio viene accertato soltanto quando, a fronte di sintomi ormai evidenti, vanno a “tamponarsi”. Ci sono quindi in giro, anche e soprattutto negli ambienti ad accesso limitato descritti dalla propaganda come “protetti”, moltissime persone dotate di green pass ma inconsapevolmente portatrici del virus (e quindi contagiose), che prima di rivelarsi tali (e di entrare nel conteggio e, in qualche caso, essere ricoverate) possono infettare coloro con cui si trovano: come infatti è accaduto, nelle ultime settimane in provincia di Vercelli, all’ospedale e in residenze per anziani.
Il dato del report Iss ci dice dunque (almeno) due cose. La prima è che possedere il green pass rilasciato – magari settimane o mesi fa – perché ci si è vaccinati non esclude il rischio di contagiarsi (e poi di contagiare altre persone), e che quindi discriminare l’accesso ai posti di lavoro, ai mezzi di trasporto e ai luoghi di cultura, di svago e di sport in funzione del green pass ha poco senso: lì entrano anche molti vaccinati “positivi” e il contagio dilaga. La seconda è che, se vogliono far scendere l’indice Rt (che la scorsa settimana è nuovamente aumentato), anziché accanirsi nella caccia ai pochi non vaccinati le autorità sanitarie dovrebbero cominciare a preoccuparsi del sempre maggior numero di vaccinati “positivi” che, proprio grazie al green pass, stanno portando in giro il virus anche nei luoghi affollati e continueranno a farlo – col lasciapassare del governo – (almeno) fino al 31 dicembre.