Dovevamo vederci a metà febbraio per aggiornare un’intervista vecchia di qualche anno. Com’eravamo non lo siamo più e mi passava per la testa di raccontare quel che sei ora. «Torno in patria per qualche giorno». Abiti a Bergamo, la tua patria è il ciriacese ed io non lo so perché, ma alla fine non ci siamo più visti.
Il 3 marzo mi hai mandato un messaggio. “Nel paesino dove abito primi casi”. Ce n’era uno. Dall’altra parte di Bergamo già di più. “Forse diventiamo zona rossa”. Che t’ho risposto? “Minchia”.
Da qualche giorno lavoravi a casa. “Non sono preoccupato, ma… è una sensazione strana, tipo da film”. E poi i soliti discorsi. “Probabile blocchino il campionato”. Altro che Coronavirus, t’ho detto io: “Senza Atalanta per un mese non so se reggi”.
Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, una notifica: “A mercoledì 3 marzo i contagiati da coronavirus in Bergamasca sono saliti da 243 a 372 (qui la mappa), un‘impennata maggiore rispetto all’andamento di Lodi: sono 372 positivi, 129 in più rispetto ai dati di lunedì (a Lodi 482, +98). A Nembro i casi sono 58 (contagiato anche il sindaco), a Bergamo 33, ad Alzano 26, a Zogno 22, ad Albino 16 e a Villa di Serio 14. E le vittime salgono a 13, tra i 67 e i 91 anni”.
Dovevi operarti per una piccola ernia ma t’è saltato l’intervento. “Porca troia”, hai detto. E porca troia davvero. Intanto a Torino c’erano 11 casi. Io ero già terrorizzato. Lo sai, vivo con genitori anzianotti e mamma è un po’ malandata. “Falli uscire il meno possibile”. Da quel momento ho cercato di farli stare a casa, per quanto possibile. Segregati.
Poi abbiamo cominciato a dare numeri. In tutti i sensi. Tendenze, tamponi, positivi, dati reali, contagiati e decessi. Un minestrone di aritmetica. Tu ne capisci di più ma provavo a starti dietro. Alle 15.43 ti ho comunicato il primo morto in Piemonte. “Pochi minuti fa, in provincia di Alessandria”.
E due giorni dopo? “Qui la situazione inizia a farsi seria: 4 positivi Chivasso, 1 Cirie, 1 Venaria, 1 Cuorgnè”.
Tu a Bergamo sei finito ai domiciliari, ma volontari. “È da domenica che sono chiuso in casa”. E hai spiegato come fare la spesa online a me che di e-commerce, Amazon e compravendita online non ci ho mai capito un cazzo.
Un’altra volta ti ho scritto io: “Ci stiamo alienando”. “Adesso entro in crisi per davvero”, m’hai detto tu.
“Che roba assurda, Manu. Due settimane fa non si pensava assolutamente che potesse degenerare così in maniera drastica. Follia, non avrei mai pensato a una restrizione del genere”. Era il 7 marzo: Lombardia e altre 14 province, anche piemontesi, dichiarate zona rossa.
L’indomani alle 18.30 ho preso il telefono in mano: “Siamo nel bel pieno, oggi una marea, 1.300 contagi in più”. E andrà sempre peggio. La sera un uomo di Nole ha pubblicato su Facebook un video in cui raccontava di suo papà, grave in terapia intensiva per Coronavirus. “Ho i brividi”. Già, t’ho risposto.
Due giorni dopo: “39 morti nell’ospedale del paese dove vivo io”. E tu come stai? “Io non mi muovo più da casa”. Spesa online, mascherina e guanti.
Qui a Leini il primo morto, purtroppo. E lì da te? “Sta di nuovo passando la protezione civile con i megafoni”. L’Eco di Bergamo ha pubblicato 10 pagine di necrologi. “Assurdo”.
L’altro ieri ti ho scritto. Come va? “Mi sto rompendo il cazzo” m’hai risposto, con la faccina sorridente. E io? “Prendo 5 chili al giorno”. Sdrammatizzare, necessario. Poi ci siamo fatti un po’ più seri e siamo tornati a parlare di numeri. Da te i casi sono diventati 60. Da me 19, con 2 deceduti. Siamo chiusi in casa.
Io esco tre volte la settimana: due per andare in Redazione, un’altra per fare la spesa. A casa sto praticamente sempre in camera, ho paura di poter contagiare mamma e papà. Ogni tanto esco sul balcone per fumare una sigaretta. Le giornate le passo al telefono con i sindaci che mi comunicano cifre che ogni giorno sento più vuote. Oggi cento morti fanno male come dieci due settimane fa e come uno il mese scorso. Aggiorno ogni sera delle tabelle del cazzo con contagiati e defunti e mi chiedo perché. Pubblico articoli sul sito del giornale e poi li condivido su Facebook. Gli ospedali sono sempre più pieni. Chivasso tantissimo, Ciriè tanto, Ivrea forse un po’ meno. I medici e gli infermieri non hanno i dispositivi di protezione e si ammalano. Ad oggi in Italia ne sono morti 41. Il Direttore ha scritto che è incazzato, in un editoriale. Sono incazzato anch’io. Coronavirus, Coronavirus, Coronavirus. Sono colmo d’ansia.
Ogni tanto guardo un film, in tarda serata, perché fatico un po’ ad addormentarmi prima delle due. Ho visto “Taxi driver” e m’è piaciuto, te lo consiglio. Ho provato a sfogliare Cesare Pavese ma “Il mestiere di vivere” è pesante da leggere se tutti intorno praticano l’opposto mestiere, quello di morire. La notte quando chiudo gli occhi, per cullare il sonno, mi ascolto l’audiolibro del Barone Rampante di Calvino. Lo legge una donna, ha una bella voce. Era il mio libro preferito, mi pare, da ragazzino.
Dopo la conferenza stampa di Borrelli controllo il Sole 24 Ore per studiare grafici e dati nazionali e per capire se oggi va un po’ peggio o un po’ meglio di ieri. Si va sempre da qualche parte, ma si va solo di un po’. È snervante.
Prima di cena parte la videochiamata con i soliti amici di Leini: diciamo quattro cazzate e ci facciamo un po’ di risate.
Aneddoto: l’altro giorno ho comprato una bottiglia di Barolo: volevo festeggiare al tavolo con mamma e papà la promozione all’esame da giornalista. Avevo sempre sognato di assaggiare il Barolo, non so perché non l’avessi mai comprato. Alla fine l’ho assaggiato e non mi piace.
La settimana scorsa un amico ha portato il pane a casa, ai miei. Io lavoravo. Un altro m’è venuto a soccorrere quando mi si è fermata la macchina in mezzo alla strada (si ferma sempre e prima o poi la cambierò). Un altro ancora vuole recuperarmi una mascherina. Il mio vicino ha portato a papà una boccetta di genepì: molto buono. E mi ha gonfiato la ruota posteriore sinistra dell’auto (si sgonfia sempre e prima o poi la cambierò). Mi sono rasato i capelli per la seconda volta in 25 anni. Me ne sono pentito, per la seconda volta in 25 anni. C’era una ragazza che mi scriveva, ora non mi scrive più. Eccheppalle. Ho comprato i guanti e adesso dovrei riuscire a recuperare qualche mascherina. Ogni tanto mi metto a cantare tra me e me un pezzo di Ligabue e neanche me ne accorgo: “Sopravvissuti a vecchi e nuovi dolori, che aspettiamo i vaccini e nel frattempo chissà”. Ti volevo chiedere se hai visto la fila di bare che lasciava Bergamo. Non te l’ho chiesto.
Intanto aspettiamo. Aspetteremo ancora per un po’. Tutto ci sembrerà sempre meno sensato. In fondo già lo sembra. Poi passerà. Intanto caro amico t’ho scritto, così mi sono distratto un po’. L’intervista la faremo quando potrai tornare da queste parti. Come siamo non saremo più e mi passerà per la testa di raccontare quel che sarai. Ci si vede a Ciriè. Il caffè l’offro io.