Incastrato da una falsa denuncia di riduzione in schiavitù e violenza sessuale di gruppo: per la seconda volta un pastore dell’Astigiano è stato assolto dall’accusa di avere partecipato allo sfruttamento di una giovane donna romena che una volta in Italia fu relegata in una roulotte sulle montagne del Torinese.
Oggi la corte di Assise d’Appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado, risalente al 2 luglio 2019, e ha anche ordinato la trasmissione degli atti in procura per valutare profili di reato nella testimonianza dell’accusatrice. L’imputato, di 66 anni, era difeso dall’avvocato Aldo Mirate. Subito dopo la prima sentenza, la procura di Torino aveva svolto indagini supplementari disponendo una serie di intercettazioni telefoniche che avevano portato a un procedimento penale a carico della donna. Nonostante questo, all’udienza di oggi la Procura Generale aveva chiesto per il pastore una condanna 12 anni di carcere. “E pensare – aveva replicato Mirate – che io mi aspettavo una rinuncia al processo d’appello”.
La vicenda, secondo quanto fu denunciato, risaliva alla primavera 2011. La giovane romena raccontò di essere stata segregata da un connazionale in una roulotte che stazionava in due zone da pascolo isolate della Val Chisone. L’astigiano ne avrebbe approfittato per commettere degli abusi con l’aiuto del ‘carceriere’. “Con le nostre indagini difensive – ha detto Mirate – abbiamo dimostrato che l’imputato non era ancora arrivato lassù. I movimenti del suo gregge, composto da 1.500 capi, sono stati regolarmente registrati, ed è emerso in maniera inequivocabile che all’epoca si trovava fra le colline dell’Astigiano. Ma ci sono molti altri elementi a rendere la donna poco credibile: in una intercettazione viene sgridata dal suo interlocutore perché ha detto che il pastore abusava di lei due volte al giorno. Un po’ troppo, considerando che si trattava di un signore di 55 anni”.
Era stato il pm Elisa Pazè, dopo la prima sentenza di assoluzione, a disporre nuovi accertamenti. La romena fu interrogata in procura il 15 luglio 2020 e fornì una versione leggermente differente; oggi, al processo, ha ancora modificato il suo racconto. Il presunto ‘carceriere’ (difeso da un altro avvocato) è stato condannato nel 2018 a più di otto anni di reclusione dopo un rito abbreviato: “Ma su quella sentenza – ha dichiarato Mirate – io ho dei dubbi: è stata pronunciata prima delle indagini supplementari della dottoressa Pazè. Ho l’impressione che l’anima nera di questa storia sia il nuovo fidanzato della donna”.