Il 25 maggio a Minneapolis, in Minnesota, George Floyd, 46 anni e afroamericano, per un presunto uso di banconote false è stato fermato e controllato. Durante il controllo è stato atterrato e immobilizzato con il ginocchio del poliziotto che premeva sul collo. George più volte ripeteva “i can’t breathe”, “non riesco a respirare”. George Floyd è morto soffocato pochi minuti dopo.
E’ solo uno dei continui casi che si ripetono sempre nella stessa forma: poliziotto bianco uccide afroamericano. E il motivo rimane sempre lo stesso: uso incontrollato e discriminatorio della violenza da parte delle forze dell’ordine. Da giorni si stanno verificando proteste contro la polizia e contro un sistema che non tutela e che lascia indietro tutti quei quartieri considerati dei “neri”.
Come detto prima, non è il primo caso di questo genere e molto probabilmente non sarà l’ultimo. Il problema, oltre ad avere radici storiche, è l’immenso potere che le forze di polizia possiedono. Un potere che, se dato a soggetti sbagliati, può portare a disastri. George Floyd è una delle infinite vittime di questo sistema che legittima questo tipo di violenza discriminatoria. Questa problematica si riscontra in ogni parte del mondo, dalle proteste in Cile fino a quelle di Hong Kong per arrivare pure qui da noi, in Italia: numerosi sono i casi in cui la celere, che dovrebbe garantire la sicurezza, è stata fonte di numerosi feriti perfino a manifestazioni di stampo pacifico come l’8 marzo.
Coloro che indossano una divisa si fanno carico di molte responsabilità, una tra queste è di rappresentare lo stato e la legge. Quindi si può arrivare alla conclusione che ad aver ucciso George Floyd non sia stata una persona, ma lo stato stesso? Quello stesso stato che ha rivestito di carica giurisdizionale l’uomo che ha premuto il ginocchio sul collo di George fino a farlo morire soffocato. Una della critiche che viene volta ai movimenti di protesta, nati per rivendicare la morte di George Floyd, è l’eccessiva violenza con cui stanno agendo: vandalizzano e saccheggiano strutture pubbliche.
Quindi la violenza è legittimata solo se si porta una divisa? L’aggressività usata per manifestare il dissenso è davvero peggiore di quella usata per ammazzare un uomo?. Paradossi giuridici che permettono il perpetuarsi di ingiustizie da parte dello stato nei confronti dei cittadini, senza che quest’ultimo venga mai veramente punito. Con l’aiuto dei media si sposta l’attenzione dal “fatto” alle “conseguenze”, così da trasformare ed etichettare ,tutti coloro che scendono in piazza per manifestare, in persone estremiste e violente, sminuendo le loro idee fino a banalizzarle (processo mediatico che va molto di moda anche qui in Italia). In una società satura di ingiustizie sociali, che non vengono riconosciute in quanto tali, e in un ambiente ricolmo di stigmatizzazioni per coloro che cercano di lottare contro di esse, ci si sente un pò come George: “i can’t breathe”.