Anche nella nostra zona si discute tanto di “fase 2”, di come uscire dall’emergenza tra fine aprile e inizio maggio, ma probabilmente non si tiene abbastanza conto di un dato: da circa un mese il Piemonte è la terza regione per casi accertati di Coronavirus in Italia; avendo un tasso di crescita di “positivi” superiore a tutte le altre regioni (più alto, da un paio di settimane, anche di quello della Lombardia) ha superato il Veneto, e ha ormai quasi raggiunto l’Emilia Romagna. Ma fin dalle prime fasi dell’epidemia il Piemonte è stata la terza regione per numero di morti risultati positivi alla Covid-19: anche quando era dietro al Veneto per numero di contagi confermati. Attualmente (dati del 24 aprile) il Piemonte ha confermato 24.050 casi di Coronavirus, e 2737 decessi di persone che l’avevano contratto: quasi la metà a Torino (1175), la provincia più colpita, seguita da quelle di Alessandria (521), Novara (241), Cuneo (214), Biella (155), Vercelli (152), Asti (143) e Verbano-Cusio-Ossola (107).
La situazione in Piemonte – raccontata una settimana fa in un servizio della trasmissione di RaiTre Report – è quindi, stando ai numeri, simile a quella dell’Emilia-Romagna; le difficoltà principali emerse nelle prime settimane di epidemia ricordano molto, invece, quelle segnalate in Lombardia: il basso numero di tamponi eseguiti, la grande preoccupazione per i contagi domestici in quei nuclei familiari con casi positivi o casi fortemente sospetti, le difficoltà a cui sono sottoposti i medici di famiglia e i casi di Rsa diventate focolai del virus.
I contagi. Le numerose testimonianze raccolte in queste settimane dalla stampa, e le opinioni di diversi virologi ed esperti piemontesi, suggeriscono che – come per la maggior parte del Nord Italia – il numero di casi di Coronavirus confermati in Piemonte siano soltanto una parte di quelli reali, per via del basso numero di tamponi eseguiti. i casi scoperti dipendono dalla quantità di tamponi fatti e analizzati, che peraltro subisce variazioni significative non solo man mano che viene allargata ma anche a seconda del giorno della settimana. Un altro dato rilevante è che la provincia di Torino (11.615 casi totali, al 24 aprile) è attualmente la terza più colpita in Italia, stando ai dati ufficiali, dietro a Milano (17.689) e a Brescia (12.475), avendo superato da qualche giorno quella di Bergamo (11.002).
Ospedali e territorio. Tra gli aspetti per i quali la crisi in Piemonte ricorda quella in Lombardia c’è stata la gestione dell’epidemia incentrata sugli ospedali: sia per l’esecuzione dei tamponi in prevalenza sui pazienti ricoverati (anziché su quelli ancora “fuori” dai nosocomi) sia per le difficoltà, lentezze e inefficienze nell’assistenza domiciliare dei pazienti da parte dei medici di famiglia – che hanno denunciato di «essere stati lasciati soli» dalle autorità sanitarie – e nell’insufficiente sorveglianza da parte delle Asl.
Le terapie intensive. Il dato positivo è che, pur in presenza di un aumento del numero di “positivi” accertati, ormai da inizio mese il numero di pazienti in terapia intensiva continua a diminuire, passando dal massimo del 2 aprile (quando erano 453) fino ad arrivare ai 253 del 24 aprile: ci sono quindi ancora molti “positivi”, ma fortunatamente meno gravi. In totale, prima dell’epidemia, i posti letto in terapia intensiva nella regione erano 287, «tra i più bassi di tutte le regioni», aveva detto il presidente Cirio. Oggi sono «più che raddoppiati», grazie principalmente all’ampliamento dei reparti già esistenti: a scapito, purtroppo, dell’attività ospedaliera ordinaria. Il tanto pubblicizzato (dalla Giunta regionale) Covid Hospital di Verduno, vicino ad Alba, inaugurato con settimane di anticipo rispetto ai piani pre-epidemia, per ora ha solo 12 posti tra terapia intensiva e sub-intensiva (e 60 posti complessivi anziché i 160 previsti), e ha accolto in totale solo una quarantina di pazienti: quasi tutte persone già in via di guarigione, che che vanno lì a trascorrere la fase post-acuta della malattia.
Il picco è in ritardo. Giovanni Di Perri, responsabile del reparto di Malattie infettive all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, ha spiegato che si aspetta un picco dei contagi a Torino con una settimana di ritardo rispetto a quello di Milano, essendo a suo avviso «l’epidemia piemontese figlia di quella lombarda». Secondo Di Perri i nuovi contagi sono «antecedenti al lockdown: non avendo le risorse per fare tamponi a tappeto, molti asintomatici hanno contagiato i residenti dello stesso condominio. Un fenomeno molto evidente nei palazzi molto popolati di Torino che leggiamo nei dati di questa settimana».
La situazione nelle Rsa. Come in Lombardia, anche in Piemonte ci sono stati decine di case di riposo che hanno registrato morti e infezioni da Coronavirus e che si sono ritrovate a gestire un’emergenza al di sopra delle loro possibilità e dei loro mezzi, senza istruzioni sufficienti da parte delle autorità regionali. Qualche settimana fa un annuncio piuttosto confuso dell’assessora regionale al sociale Chiara Caucino aveva fatto circolare la stima di un terzo degli ospiti delle Rsa piemontesi positivo ai test per il Coronavirus. Caucino in realtà aveva detto che su un campione di 3000 tamponi, 189 erano risultati positivi e 1100 erano in attesa di risultato, ma erano considerati per questo «potenziali positivi». Al di là della stima di Caucino, in tante case di riposo sono state segnalate morti sospette – diverse centinaia, secondo la Cgil – e contagi diffusi: dal caso di Villanova Mondovì, in provincia di Cuneo, evacuata dopo che erano risultati positivi diversi operatori, fino alla Rsa “Casa San Giuseppe “di Grugliasco, vicino a Torino, dove a fine marzo sono morti nel giro di pochi giorni 21 pazienti su 87. Nella nostra zona, ad esempio, sono emersi i casi di Chivasso (“Opera Pia”), Vercelli, Cigliano, Crescentino (“Santo Spirito”), Bosconero(“San Giovanni Battista”), Brandizzo (“Piccola Lourdes), Settimo (“Cinque Torri”), San Mauro (“San Giuseppe” e (“Sereni Orizzonti”), Chialamberto (“Povere Figlie”), Nole (“Piovano Rusca”), Corio (“Villa Lina”), Bairo (“Residence del Frate”), Volpiano (“Arnaud”) e Marcorengo (“Annunziata”).
La scorsa settimana Cirio ha assicurato che si sarebbe intensificata «la massiccia campagna di esecuzione di test presso le Rsa del Piemonte»: e infatti negli ultimi giorni – troppo tardi – le case di riposo si sono rivelate i principali focolai di diffusione del contagio.
Ne usciremo più tardi. La conseguenza di come è stata gestita l’emergenza Coronavirus nella nostra regione è che, mentre altrove i casi “positivi” sono in costante calo, qui in Piemonte continuano a crescere: se fino al 20 aprile – secondo i dati forniti dall’Unità di crisi – i “nuovi positivi” erano circa 600 al giorno, nell’ultima settimana sono saliti a più di 700. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che sia negli ospedali che nella case di riposo – luoghi in cui i pazienti e gli ospiti dovrebbero essere maggiormente “protetti” rispetto al resto della popolazione – non sempre i potenziali “positivi” (che magari si sono rivelati tali solo dopo molti giorni, quando finalmente è stato fatto loro il tampone) sono stati isolati rispetto agli altri ricoverati, e ciò ha favorito la diffusione del contagio. Il “caso Piemonte”, quindi, esiste eccome: altrove i numeri si abbassano, qui aprile è stato peggio di marzo.