Quando alle 10 di sera di un mercoledì in piena emergenza coronavirus squilla il cellulare un po’ di preoccupazione può sorgere spontanea. Leggendo sul display il nome di colui che l’ultima volta che mi ha chiamato forse era quando prestavo servizio militare, ovvero quasi quattro lustri or sono, ecco che l’ansia inizia a salire. Neanche il tempo di dire pronto che dall’altra parte la voce è subito concitata: “Guarda che stanno per trasmettere in televisione Italia-Brasile”. Resto basito. Mio padre è così. Silenzioso e di parole poche e misurate. Poi ha questi momenti di insana incoscienza. Prendere o lasciare. E io me lo tengo stretto comunque. Adesso più che mai. Non c’è stato bisogno di aggiungere 1982 dopo Italia-Brasile. Perché per noi italiani quella è “la partita delle partite”. E’ paradossale che le sfide della nazionale che ci teniamo più strette nei ricordi non siamo le finali. Italia-Brasile 1982 sta in mezzo alle due storiche semifinali con la Germania, il 4-3 di Città del Messico nel 1970 e il 2-0 di Dortmund nel 2006. “Quello che conta è il percorso del viaggio e non l’arrivo” diceva Thomas Stearns Eliot. Massi’ dai, quasi quasi me la riguardo pure io. L’astinenza di calcio inizia a farsi sentire. E non solo quella purtroppo…
Subito l’inconfondibile voce di Nando Martellini scalda l’ambiente. In piedi. C’è l’inno. Che bella che era la maglia della nostra nazionale. Azzurra. Semplicemente azzurra con lo scudetto cucito sul petto e senza ghirigori attorno. Anche il giallo-oro del Brasile è tanta roba. Altri tempi. Altro calcio. Quello con cui sono cresciuto. So per certo che siamo costretti a vincere ad ogni costo per andare in semifinale e so esattamente quello che sta per accadere quando Bruno Conti sventaglia la palla da destra a sinistra per Antonio Cabrini con un illuminante esterno mancino. Ma quando parte il calibrato cross del Bell’Antonio e vedo sbucare sul secondo palo la capoccia di Paolo Rossi mi alzo in piedi con la birra in mano ed esulto. Siamo in vantaggio. Ci sono dentro fino al collo. Sono sei anni che non vedo una partita degli azzurri nel Campionato del Mondo. Si può esultare senza vergogna per un gol segnato quasi quarant’anni fa. Il Brasile non si scompone e inizia a farci venire il mal di testa con il suo palleggio sopraffino. Si sentono una spanna superiori a tutti. E lo sono. Dannazione. Giocano generosamente in dieci, senza attaccante. Per nostra fortuna l’allampanato Serginho Chulapa che ha sulle spalle la maglia numero 9 è una pippa colossale e ciabatta clamorosamente fuori a due passi da Dino Zoff. Roba che se la facevi all’oratorio gli amici ti invitavano gentilmente a sceglierti un altro sport da praticare. Che rischio. E quanto sono forti. Zico. Junior. Eder. Falcao. Socrates. Toninho Cerezo con i calzettoni arrotolati alle caviglie. “Secondo te, dove lo passerà il Capodanno Toninho Cerezo?” Scusate. Era inevitabile non pensarci. Avanzano i brasiliani, avanzano. Zico con una finta manda in confusione Claudio Gentile (Gentile, non uno qualunque) e inventa il corridoio per quel lungagnone di Socrates. Fermatelo. Niente da fare. Nemmeno Gaetano Scirea riesce a stargli dietro. Il dottore calcia sul primo palo e trova l’unico spiraglio lasciato libero da Zoff che si aspettava il diagonale sul secondo palo. 1-1. Dino e Gaetano si guardano sconsolati. Quasi rassegnati. E io mi affloscio sul divano. E’ già stato un mezzo miracolo avergli fatto un gol. Quando riusciamo a fargliene un altro a questi qua. Animo dai. Non siamo così inferiori. C’è Giancarlo Antognoni a centrocampo. E un brasiliano lo abbiamo anche noi. “Di Bruno ce n’è uno e viene da Nettuno”. Giocasse con loro saremmo già sotto 3-0. E invece sta con noi e siamo pari. E Pablito sembra essersi sbloccato. Corre bene. E’ sciolto. Ha voglia. Eccolo. Ghermisce la palla agli statuari brasiliani. Dai. Entra in area. Tiro. Gol. Evvai siamo di nuovo avanti. Un sorso di birra accompagna l’esultanza azzurra. Quanto manca? E’ lunga. Troppo lunga. Ogni volta che quelli superano la metà campo c’è da pregare. Fulvio Collovati ha male. Non ce la fa. Chi butta dentro il Vecio? Lo Zar? No. Non sta bene. Entra Giuseppe Bergomi. Lo Zio? Ma ha solo 18 anni. Speriamo che con quei baffoni li spaventi. Gentile si incolla a Zico. Lo bracca. Lo morde. Gli strappa anche la maglia pur di non farlo segnare. Fino primo tempo.
Un attimo di assestamento e si ricomincia. Già. L’intervallo non c’è questa volta. Zico ha la maglia nuova. Il cronometro è lento e questi giocano e sprecano gol come io divoro patatine e sorseggio birra. Falcao fa la barba al palo. Cerezo si lancia verso la porta: sono pronto al peggio. Dino esce come un treno. Siamo salvi. La disgrazia Serginho prova il colpo di tacco (!) nell’area piccola. Non non può segnar quello li. Di tacco men che meno. Per fortuna c’è ancora il piedone di Dino dietro di lui a chiudere tutto. Non ci asserragliamo dietro. Ripartiamo forza. Corri Ciccio mettila che c’è Pablito solo. Vaiiii. Noooo. Come ha fatto a tirarla fuori. Era la nostra occasione. Adesso la paghiamo. Garantito al limone. Ecco Falcao. Con un movimento di bacino ci manda tutti al bar. Chiudeteloooo. Il Divino non sente il mio urlo e dal limite scartabella un sinistro esagerato. Che polli che siamo. Come si fa a lasciare tutto quello spazio a uno come Falcao. Adesso questi ci nascondono la palla e addio. C’è bisogno di un altro gol. E di un’altra birra. Tele Santana ha pure capito che si può giocare undici contro undici e ha levato quel paracarro di Serginho. Maledizione. Dai non molliamo. Forza. I minuti scorrono. Questa volta veloci. Calcio d’angolo per noi. Non ne ricordo altri dall’inizio. Magari è un segno del destino. Daje Brunè mettila bene. Mischione. Tardelli. Si dai. E’ Ciccioooo. No. E’ Pablitoooooo. E andiamo. Tre per noi. Due per loro. Adesso continua a correre veloce cronometro maledetto. Non ti fermare. Vai che andiamo in contropiede. Passala ad Antognoni. Goooool. E sono quattro. No. Fuorigioco. Annullato. E’ buonoooo. Arbitro vallo a vedere al VAR. Ah già. Non c’era la Video Assistant Referee nel 1982. Deo Gratias penso. Mannaggia. Quanto manca. Secondi che sembrano ore. Anni. Punizione per loro in zona rossa. Eder sulla palla. Se prende la porta la tira giù. Palla nel mucchio, colpo di testa di Oscar e il cuore si ferma. Dinooooo. Fate un monumento a quell’uomo con la maglia grigia. L’ha pinzata sulla linea. Non è gol. Giù le braccia brasileri. Fischiaaaa maledizione. Finitaaaa. Giro di esultanza attorno al divano. Ciao Ciao Brasile. Pablito ti ha matato. Meglio calmarsi qua. Troppo tempo che non vedevo calcio giocato. Chissà se mio padre mi telefonerà di nuovo quando faranno vedere la semifinale con la Polonia…