I Dpcm che si susseguono in queste settimane con l’obiettivo di rallentare la diffusione del contagio da Sars-CoV-2 nel Paese non stanno dando i risultati sperati, tanto che il Governo – pressato dalle autorità sanitarie: la situazione negli ospedali sta diventando ingestibile, come documentiamo anche in queste pagine – sta seriamente valutando la possibilità di un nuovo lockdown da attuare entro la metà di novembre. Decreti governativi (e altri provvedimenti emanati dalle Regioni) che non hanno dato i risultati attesi probabilmente perché troppo soft e soprattutto tardivi: si è cominciato a chiudere la stalla quando ormai la maggior parte dei buoi erano scappati.
Quello qui sopra è il grafico degli “attualmente positivi” in Italia. Facciamo pure la tara ai dati incompleti, al numero di tamponi che non è costante, alle comunicazioni non immediate delle Asl, agli asintomatici che sfuggono: ma la tendenza è inequivocabile. Il lockdown primaverile, se non altro, era riuscito ad interrompere l’ascesa della curva e, poco per volta, a farla scendere: il picco era stato raggiunto intorno al 20 aprile, con circa 108 mila “positivi”, poi era iniziata una costante discesa e a fine luglio se ne contavano poco più di 12 mila.
Poi la curva, all’inizio di agosto, ha ricominciato a risalire: prima quasi impercettibilmente, poi in maniera più consistente, ed ora con progressione esponenziale. Al 10 agosto era già oltre i 13 mila, a fine agosto a 25 mila, a metà settembre – alla riapertura delle scuole – sopra i 40 mila, a metà ottobre oltre i 150 mila.
Intervenire ora, a fine ottobre/inizio novembre, con nuovi provvedimenti restrittivi (un nuovo lockdown – come in Francia e in Germania – è ormai certo, si tratta solo di decidere quando e con quali modalità) è, con tutta evidenza, tardivo e poco efficace: siamo ad oltre 300 mila “attualmente positivi” (il triplo del “picco” raggiunto questa primavera), e anche i virologi riconoscono che con questi numeri il tracciamento è ormai praticamente impossibile.
La guerra contro la diffusione del virus in Italia l’abbiamo persa nella prima settimana di agosto: era allora, alle prime avvisaglie di ripartenza del contagio, che il Governo e le Regioni avrebbero dovuto emanare provvedimenti restrittivi. Quali? Per esempio isolare davvero (e non solo “sulla fiducia”) quei 12-13 mila: un numero controllabile in ogni regione senza eccessivo sforzo. Per esempio – siccome nel resto d’Europa e del mondo il contagio dilagava – chiudere le frontiere, consentendo l’arrivo in Italia solo di un centinaio di persone al giorno, soltanto in aereo e in un solo aeroporto, rigorosamente controllate all’arrivo e precauzionalmente “quarantenate” prima di poter circolare liberamente sul territorio nazionale. Per esempio chiudere discoteche e sale da ballo, dove è impossibile non venire a contatto con estranei. Per esempio vietare le visite dei parenti “in presenza” alle case di riposo, sostituendole con colloqui al di là di un vetro. Per esempio raddoppiare le corse dei mezzi pubblici – soprattutto treni, autobus e metropolitane utilizzate dai pendolari – e aumentare le procedure per la loro “sanificazione”, perché è ormai assodato che è lì che il virus si diffonde maggiormente.
Si dirà: eh, ma sarebbero stati provvedimenti troppo restrittivi, costosi, vessatori, il Paese non li avrebbe accettati, eravamo già tutti psicologicamente scossi dal lockdown primaverile… E poi era agosto, non si può mica porre divieti alla gente che si sta godendo le vacanze…
Certo, certo: le limitazioni non piacciono a nessuno, i social network sono pieni di inni alla libertà (sovente confusa con la libertà di fare profitti senza curarsi della salute pubblica) e di strali contro la “dittatura sanitaria”. Ma per non aver fatto quelle – poche, mirate, in fondo accettabili – cose ad agosto, in modo da abbattere ulteriormente la curva dei “positivi” prima del rientro a scuola e nei luoghi di lavoro, ora ci troviamo nuovamente con il Paese mezzo chiuso, e forse tra qualche settimana chiuso del tutto; e – dal punto di vista dei costi economici e sociali – con il Governo costretto ad erogare “ristori” ben più consistenti a molte più categorie: tolti gli statali a tempo indeterminato e con lo stipendio fisso (i cosiddetti “garantiti”, quelli che comunque – caschi il mondo – a fine mese la busta paga la ricevono), gli altri son tutti in casa a mugugnare, o in piazza con i cartelli a protestare e a chiedere aiuti.
Insomma: la battaglia fondamentale contro il Covid-19 era ad agosto: ma in quel momento non l’abbiamo voluta combattere, anche se le avvisaglie di una ripresa della forza del “nemico invisibile” c’erano tutte. E siccome – per pigrizia, opportunità politica, debolezza del Governo, veti delle categorie produttive, lassismo generale – non siamo stati capaci di bloccare (o quantomeno contenere) la diffusione della malattia quando ancora era controllabile, ora che il virus sta correndo ovunque l’unica speranza è il vaccino, che nella migliore delle ipotesi sarà disponibile non prima della fine dell’anno. Sperando di arrivarci vivi.