Due storie di sport. La prima racconta di una ragazzina qualsiasi, di quindici anni, dalla faccia pulita e dal sorriso dolcemente discreto. Chiamiamola Vittoria, nome bene augurante.
Vittoria ama nuotare, è brava, va forte; “può fare il tempo”, dice il suo allenatore. Campionati italiani, europei, mondiali e, perché no, un giorno magari le Olimpiadi… Vittoria ci crede, sogna e lavora duro perché sa che tutto dipende solo da lei. Sì, perché il nuoto è sport giusto: vince chi va più veloce.
Non esiste l’episodio a favore o l’arbitro ingiusto: bisogna “fare il tempo”. È per quello che Vittoria si alza alle quattro ogni mattina, per andarsi ad allenare, con il borsone della piscina su una spalla, lo zainetto dei libri sull’altra ed in mano il contenitore termico, con dentro la pasta da mangiare all’intervallo, mentre i suoi compagni divoreranno cioccolato e patatine.
Poi, dopo la scuola, di nuovo in piscina, per altre tre ore e, una volta a casa, i compiti, la cena, due chiacchiere con l’amica del cuore sui social, uno sguardo alla serie tv di cui tutti in classe parlano, ma che lei conosce poco perché si addormenta sempre sul più bello. Ma Vittoria è contenta, ci crede, perché sa che il nuoto è sport giusto, sa che tocca agli adulti preservarne l’equità e Vittoria si fida. Ma qualche giorno fa Vittoria mi ha detto che vuole smettere. Mi ha fatto leggere la notizia della nuotatrice americana transgender a cui è stato permesso di competere con le donne e che, naturalmente, forte di un fisico dalle spiccate caratteristiche maschili, si è imposta abbastanza agevolmente.
Ora Vittoria non crede più che il nuoto sia sport giusto, non crede più che noi adulti siamo imparziali e, per questo, ha deciso di rinunciare al nuoto.
No, non indignatevi: Vittoria è ragazzina intelligente, capisce benissimo le difficoltà e le discriminazioni che la nuotatrice transgender ha subito nel tempo, ma resta convinta che, soprattutto nello sport, non dovrebbero esistere persone “più uguali” di altre.
Continua a dire che le scelte, soprattutto quelle coraggiose, implicano spesso conseguenze e limitazioni severe. Proprio come quelle che vive lei, ogni volta che, prima di addormentarsi, pensa alle sue amiche che stanno in giro fino a tardi per rubare qualche bacio al ragazzo dei loro sogni.
La seconda storia parla di rugby, uno sport strano che è metafora di vita. Si gioca con una palla ovale, dai rimbalzi imprevedibili e spesso beffardi come le vicende umane. Per fare punto devi portare l’ovale al fondo del campo avversario, provando a sfuggire a rivali enormi che cercano in tutti i modi di fermarti, di abbatterti, di atterrarti, proprio come le difficoltà della vita. E, siccome mai nulla è scontato, sei anche costretto a passare la palla sempre e soltanto all’indietro.
Chi va a vedere giocare a rugby, non va a torso nudo d’inverno a urlare slogan minacciosi contro gli avversari. No, si siede tranquillo vicino ai tifosi avversari, per fare quattro chiacchiere, perché quella metafora di vita vissuta va osservata con rispetto.
Chi gioca a rugby non protesta mai con l’arbitro, perché sa che l’arbitro, come le regole di ogni comunità, è lì per garantire che il gioco, la lotta quotidiana, si svolga senza intoppi, a tutela di tutti e, quando il direttore di gara espelle qualcuno che ha esagerato, questi, con gli occhi abbassati, sussurra: “Sorry, sir..”: mi spiace, signore…
I giocatori di rugby se le danno di santa ragione, si feriscono, ma non si menano e, soprattutto, non si lamentano mai, vanno sempre avanti, più forti delle avversità.
In Italia molti giocano a rugby, tantissimi lo seguono, ma la nostra nazionale maschile, a differenza di quella femminile (forse, non a caso…), perde quasi sempre. Abbagliati da calciatori isterici che cadono a terra urlanti, probabilmente fatichiamo ad apprezzare lo spirito del rugby e, forse, fatichiamo a comprendere e ad accettare i sacrifici della vita. Peccato…
Comunque sabato scorso l’Italia ha vinto in Galles: un’impresa eccezionale. Ma in quella partita è successo qualcosa di ancora più sorprendente: a fine partita, il giocatore gallese indicato come miglior uomo in campo ha avvicinato il ragazzino italiano esordiente che aveva realizzato il punto decisivo e gli ha offerto il premio.
Fantastico… Per la cronaca, il ragazzino italiano, emozionatissimo, lo ha ringraziato, abbracciato e non ha accettato. Domani lo racconto a Vittoria. Chissà che non cambi idea.