RIVALTA DI TORINO. Un centinaio di persone, tra lavoratori privi di certificazione, No Green del movimento ‘La Variante Torinese’ e I Si Cobas, si sono dati appuntamento questa mattina all’alba per un presidio davanti ai cancelli della Fiat Avio a Rivalta, alle porte con Torino, all’entrata del primo turno.
“Sono 32 anni che lavoro qui – sostiene Francesco – e oggi non posso entrare perché non sono vaccinato. Ci stanno privando della libertà. Solo in Italia bisogna pagare per entrare al lavoro”. “A casa ho tre figli – aggiunge Roberto impiegato in un’azienda alimentare del territorio – ho bisogno di lavorare, ma vaccinarsi o tamponarsi è un vero e proprio ricatto perché non si tiene conto che per molti non è solo un costo, ma un problema psicofisico”.
“Non capisco perché non usano i tamponi salivari invece di rovinarci i nasi”, commenta Enrico, che non ha nessuna intenzione di vaccinarsi “perché fa male e non serve a nulla”. Ai cancelli della porta 10 sono affissi alcuni striscioni con scritto “No al ricatto del Green Pass nei luoghi di lavoro” e “Il lavoro è un diritto, tamponi gratis”. Altri presidi sono stati annunciati alla Pirelli di Settimo Torinese, all’Iveco di Torino e alla Gallina di La Loggia.
“Essere qui alle 6 del mattino è un successo”, sostiene Marco Liccione leader del movimento No Green Pass ‘La Variante Torinese’, davanti ai cancelli della Fiat Avio di Rivalta (Torino), in presidio con i lavoratori privi del Green Pass. “Qui in mezzo a noi ci sono anche dei vaccinati – aggiunge Liccione – ma non crediamo più a questo Governo. I cittadini sono esasperati, la violenza non è mai giustificata, ma non ne possiamo davvero più. Hanno toccato le fondamenta, l’articolo 1 della Costituzione, dimenticando che la gente sopravvive con il lavoro”.
“Chiediamo la revoca immediata di questa misura anti operai – spiegano i SI Cobas durante il presidio – il governo, in sintonia con i padroni e con la complicità dei Sindacati Confederali, con l’obbligo del ‘Green Pass’ impone un vergognoso ricatto per lavorare, comunque costringendoci ad andare a lavorare in condizione di rischio”. “È una grave discriminazione l’attacco che come lavoratori stiamo vivendo”, concludono.