Primo giorno di scuola, ingresso di un istituto scolastico qualsiasi.
Addetto alla verifica del Green Pass: “Alt! Buongiorno! Chi siete?”
Docente: “Buongiorno, sono il professore d’Inglese e…”
“Sì, ma dove andate?”
“Beh… andrei a timbrare e poi in classe, perché…”
“Favorite il Green Pass, prego!”
Secondo giorno di scuola, stesso posto, stessi protagonisti:
“Alt! Buongiorno! Chi siete?”
“Buongiorno, sono sempre il professore d’inglese, ci siamo conosciuti ieri e…”
“Sì, ma dove andate?
“A timbrare e…”
“Favorite il Green Pass, prego!”
Terzo giorno… Il gracchiare sordo e fastidioso della sveglia interrompe il loop e mi riporta alla realtà: 1 settembre, primo giorno di scuola (per noi docenti). Si ricomincia. Mi alzo dal letto in uno stato di irreversibile apatia catatonica e, poco alla volta, gli automatismi comportamentali da giornata lavorativa standard si rimettono in moto.
Mentre sorseggio il caffè, guardo distrattamente le notizie dal web che il cellulare mi mette in evidenza: “Negli Stati Uniti sta per aprirsi un importante meeting di terrapiattisti provenienti da tutti gli angoli del mondo”; ossignur… gli angoli del mondo… “I no Green Pass oggi bloccheranno le principali stazioni del Paese”; ma quanti cavolo sono diventati..? “Nei prossimi giorni si attendono importanti manifestazioni no vax”; basta! Non ne posso già più.
Un’altra sorsatina di caffè e poi cerco conforto nelle notizie sportive: niente da fare, la Juve non ha comprato nessuno… Che giornataccia… Meglio dare uno sguardo rapido ai social, prima che il caffè finisca. Pullula di post di persone che protestano contro il Green Pass nelle scuole: “È morto il libero pensiero!”; “Dittatura sanitaria”; “Non cediamo ai ricatti!”.
Il caffè è finito e, con lui, anche la pazienza. Spazzolata ai denti, mascherina sul gomito, valigetta “prof-style”, ancora drammaticamente vuota e flaccida, e poi via, a scuola! Mentre attraverso rapido il Foro Boario, intravedo uno che, proprio il primo giorno di scuola, non ho per niente voglia di incontrare; uno di quelli secondo i quali: “I professori non fanno niente! Sono sempre in vacanza! Dovrebbero lavorare un po’ nel privato per capire come funziona!” e via di seguito.
Mi nascondo tra le auto parcheggiate, ma niente da fare, mi ha puntato: “Dove stai andando?”, mi chiede con tono beffardo, sporgendosi dal finestrino dell’auto. “Vado a giocare a calcetto”, rispondo sorridendo. Non so se apprezza la battuta, ma, perlomeno, se ne va senza aggiungere altro.
Proseguo stancamente e, mentre controllo di avere il Green Pass a portata di mano, il cellulare, che oramai mi comprende, mi manda una notifica: ben presto, il Ministero doterà ogni istituto di una piattaforma che permetterà di verificare la validità dei Green Pass dei propri lavoratori, senza più dover chiedere loro di esibirlo quotidianamente. Bello… Ma non potevano lavorarci prima? Boh..? Oramai intravedo l’istituto e altri colleghi che procedono lenti. Mi viene in mente Eliot, “La Città dei Morti” “… Sospiri brevi e radi venivano esalati ed ognuno fissava gli occhi davanti ai propri piedi…”.
D’un tratto anche io, come gli abitanti della Terra Desolata del poeta inglese, mi sento spiritualmente disfatto, travolto, come loro, da opprimenti quesiti di cui temo la risposta: come spiegheremo le rotazioni dell’asse terrestre a figli di terrapiatisti sempre più convinti? Come faremo a raccontare di personaggi storici ritenuti dai social “politicamente scorretti” e dunque degni di essere dimenticati? Come insegneremo la validità del metodo scientifico a figli di tuttologi da tastiera?
Come chiariremo a ragazzi cresciuti in famiglie “complottiste” che la dittatura, quella vera, quella che uccide (e non solo il pensiero), si serve di camere a gas, di gulag, di esecuzioni sommarie e non di mascherine chirurgiche? Che credibilità avremo ancora noi poveri relitti d’insegnanti, costretti a prendere la laurea, in un mondo che sa già tutto? Chi avrà ancora bisogno di noi? Per fortuna sono arrivato. Infilo la mascherina ed apro la porta dell’istituto:
addetto alla verifica del Green Pass: “Alt! Buongiorno…”
Non mi resta che piangere…