Nei giorni scorsi la polizia ha sgominato una baby gang che, già da novembre, prendeva di mira i ragazzini in pieno giorno e nel centro di Torino per rapinarli di cellulari e portafogli. La gang era capitanata da un ventenne canavesano con precedenti con la Giustizia. Storia di ordinario, quanto intollerabile bullismo.
“Nessun uomo è un’isola”, “L’uomo è un animale sociale”. Quante volte abbiamo sentito ripetere questi due motti? Sicuramente le cose stanno effettivamente così. Noi tutti, trascorsi i primissimi anni di vita in cui viviamo praticamente in simbiosi con la mamma, nel momento in cui iniziamo a staccarci (ad esempio per frequentare un asilo) facciamo il nostro piccolo “debutto in società”, cominciamo a conoscere i nostri pari e a confrontarci e affrontarli. Alcuni di noi, per indole e educazione ricevuta, non torcerebbero un capello a un coetaneo, ma, purtroppo, nonostante il Piemonte e gran parte dell’Italia siano dotati di leggi contro il bullismo di strada e l’ancora più subdolo cyberbullismo in Rete, continuano a formarsi sottogruppi nel gruppo di bambini che, pur di sentirsi accettati dai coetanei, sono disposti ad atti che, singolarmente, nessuno di loro probabilmente commetterebbe.
E’ la logica del branco, retaggio ancestrale dei nostri progenitori e si ripete immutato nei riti da millenni.
Allora che fare? Denunciare i bulli e far capire loro la gravità dei propri errori è basilare, ma, di per sé non basta. Serve un cambiamento di cultura nella primissima scuola della nostra vita: la famiglia.
Un padre o una madre che sottovalutano il bullismo o, peggio, si esibiscono loro stessi in atteggiamenti simili negli ambiti della vita quotidiana recano ai figli un danno forse irreparabile. E allora facciamoci un esame di coscienza. Avere un limite non è una condanna indelebile, darsi un’opportunità di riscatto è fondamentale.